Una delle cause più frequenti di sofferenza amorosa e conflitti di coppia

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 19 marzo 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Mademoiselle Albertine se n’è andata!

Come si spinge più in là della psicologia,

la sofferenza, in fatto di psicologia!

[Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto]

 

 

L’edificazione di sé stessi, anche grazie al necessario esercizio di consapevolezza e di guida delle proprie azioni in coerenza con i principi e i fini adottati, costituisce una sorta di impalcatura per lo sviluppo individuale dei processi psichici in funzione psico-adattativa.

In assenza di una tale pratica, non solo la coscienza di sé è in genere minore, ma accade di frequente che l’atteggiamento verso la vita o il comportamento del soggetto non siano appropriati perché non coerenti con il proprio stile psicologico, ovvero con il modo appreso dal proprio cervello per il mantenimento dell’equilibrio di fondo. In altri termini, una persona che non lavora coscientemente su sé stessa per realizzare un modello, sia pure nell’imperfezione e nella provvisorietà che accomuna la maggioranza di coloro che ci provano, è soggetta per inconsapevolezza a compiere spesso scelte comportamentali che la fanno soffrire in quanto inadatta a gestirne le conseguenze; e non di rado tali persone sono fonte di frustrazione e scompenso per chi stabilisca con loro un legame affettivo.

Questa premessa implicitamente afferma che una delle cause più frequenti e meno conosciute di sofferenza amorosa e conflitti di coppia è in questo rimanere “grezzi”, e per certi versi “immaturi”, magari istruiti per formazione scolastica e professionale, ma senza un’edificazione interiore che, anche quando non è posta in essere in chiave psicologica, conferisce crescita della coscienza di sé, stabilità interiore e capacità di scelte più sagge di quelle compiute dalla media delle persone[1]. Ma, tanto premesso per chiarire subito la cornice di senso entro cui intendo collocare le mie riflessioni, passo a qualificare questo scritto come esercitazione sviluppata sui contenuti del testo pubblicato su questo sito col titolo Disagio psicologico da una causa misconosciuta[2].

Ciò vuol dire che, assumendo le tesi e le interpretazioni proposte in quell’articolo, svilupperò considerazioni personali prendendo le mosse dagli stessi argomenti e, soprattutto, dalla condivisione della prospettiva: nel commento banale sulle vicende tra innamorati ci si comporta come se tutto dipendesse dal comportamento che le persone hanno nelle circostanze in discussione; noi andiamo invece alla psicologia dei soggetti all’origine degli stati affettivi e dei fatti mentali e materiali. In questo risalire alla dimensione psichica, Rezzoni e Lanfredini, sulla scorta del lavoro condotto al seminario sull’Arte del Vivere, hanno identificato nel mutamento socioculturale che ha modificato la sostanza di alcuni rapporti sociali, talvolta conservandone la forma, una causa misconosciuta di disagio psicologico nella realtà sociale.

Dice il nostro presidente: “Tra innamorati si soffre, si entra in conflitto, si sta male per una sola parola detta dall’altro, prima si desidera condividere ogni cosa e poi ci si abbandona, si prova estrema avversione reciproca dopo aver provato desiderio, e così via, in un regime di ordinaria contraddittorietà che accomuna, almeno in alcune circostanze, quasi tutte le coppie, con rare eccezioni, perché la ‘sindrome dell’innamoramento’ modula in modo simile le risposte psichiche delle persone. Ma, al di là di questa ‘omologazione da innamoramento’, c’è la psicologia del singolo con tutte le peculiarità individuali, che vanno da quelle più esterne attinenti alla cultura dei gruppi sociali di appartenenza a quelle più intime che riguardano la dimensione interiore, fino alla pura soggettività che rende unica ciascuna persona. Se si esce dall’eterno equivoco tra innamoramento e amore, ossia tra quello stato che ho definito con un’espressione semiseria ‘malattia identificativa’ – per evidenziarne la caratteristica di investimento identitario – e i sentimenti profondi caratterizzati dal volere il bene dell’altro, risulta evidente che si ama per come si è fatti. E, dunque, la conoscenza della psiche di una persona, o almeno del suo stile e delle sue tendenze prioritarie, è fondamentale per capire la realtà che esiste dietro le manifestazioni affettive, emotive e comportamentali in quella dimensione esistenziale che a volte si chiama rapporto di coppia e altre vita affettiva o sentimentale[3].

Questo brano chiarisce ampiamente i motivi per cui è necessaria a coloro che già sono maturi – il che vuol dire che sono coscienti del rapporto e dello scarto esistente tra soggettività intrapsichica e persona sociale, e che sono in grado di assumersi la responsabilità delle proprie azioni[4] – la conoscenza quale premessa indispensabile per avviare un rapporto di coppia. In Disagio psicologico si nota che la destrutturazione dell’impalcatura simbolica tradizionale dei rapporti sociali ha prodotto, tra gli effetti collaterali, la mancata distinzione tra un’attività reciprocamente gratificante e ormai scomparsa, come il corteggiamento più o meno colto da salotto, e l’approccio più o meno volgare e diretto per ottenere rapporti sessuali. Nel primo caso si conservava con rispetto l’atteggiamento mentale del rapporto fra estranei, puntando a suscitare interesse e a ottenere simpatia; nel secondo caso, né più e né meno degli altri mammiferi in periodo estrale, i maschi cercano le femmine recettive e viceversa[5]. In questo mutamento di costume vedo anche la cancellazione di una differenza tra due dimensioni psicologiche collettive, consolidate in millenni di civiltà, e analizzate in modo illuminante dall’antropologia. Ma, prima di menzionare queste due dimensioni e discuterne alcuni aspetti, per comodità del lettore, riporto il brano del Disagio psicologico qui richiamato:

“Il corteggiatore giocava usando la galanteria e la poesia, l’adulazione e le blandizie, le suggestioni dell’avventura per far sognare ad occhi aperti le donne e ottenere le simpatie e il ricambio in considerazione, cortesie e casti sorrisi che, in sua assenza, si traducevano in commenti positivi condivisi fra donne capaci di tessere lodi e trame per una buona reputazione. Costoro erano i veri principi dei salotti e, se da giovanissimi erano coccolati dalle donne più anziane che speravano di vederli impalmare le proprie nipoti, da gentiluomini maturi erano apprezzati e richiesti quali narratori di avventure di viaggio o di passatempi curiosi e raffinati. Uno dei tanti esempi di questo prototipo, reso un po’ buffo da una caratterizzazione teatrale volutamente parodistica del personaggio, è il Sigismondo dell’operetta Al cavallino bianco[6][7].

Le due dimensioni sono il gioco e la realtà, e la mia tesi è che la perdita della struttura simbolica dei rapporti tradizionali elimina la distinzione tra i due registri, con tutte le specifiche valenze psicologiche connesse.

La dimensione del gioco nella vita adulta rappresenta uno strumento psicologico di supporto all’adattamento, consolidato dall’uso culturale in tutti i popoli. Si basa su un patto di finzione, simulazione o assunzione convenuta di ruoli o di modi di azione per un fine simbolico concordato, e il suo successo è dovuto al fatto che, sebbene sia un artificio, è in grado di generare realmente gratificazione.

In proposito, mi piace ricordare che Gilberto Freyre in Brasile, studiando in chiave antropologica la capoeira, scoprì che prima che fossero portate dall’Africa le figure di danza di quella lotta simbolica di grande abilità, che oggi è diventata una disciplina sportiva, tra i nativi precolombiani esisteva già una forma di gioco non competitivo al quale partecipava, senza alcuna restrizione, tutto il villaggio primitivo, col fine condiviso di un piacevole divertimento in allegria e armonia.

Il gioco è una struttura simbolica che si basa sulla dimensione immaginaria della mente, una funzione intrapsichica che, in quanto tale, è per definizione individuale e dunque passibile, se non controllata, di divenire soggettiva. Per evitare questo rischio si definiscono con precisione gli ancoraggi alla realtà da condividere: le regole del gioco.

Il rispetto delle regole nella realtà si chiama onestà, nel gioco lealtà. Ma, in molti casi, le regole coincidono col gioco stesso e, dunque, rispettarle è indispensabile per poter ottenere la gratificazione, che costituisce lo scopo e la ragione per cui si gioca.

Il ballo in maschera era in passato una circostanza privilegiata di gioco in cui l’identità vera era sostituita dall’aspetto del personaggio rappresentato e, anche se il convenuto ludico consisteva nel poter ballare con celebrità del passato, con divi o maschere della commedia dell’arte, questa finzione si svolgeva su un registro reale che comportava il temporaneo “farsi coppia” di un uomo e una donna, che erano veramente l’uno nelle braccia dell’altro. Ma niente più di questo, e per giunta con una identità immaginaria. Un gioco di realizzazione di desideri[8] nel registro della finzione, come immaginario condiviso, ospitato dal reale nei limiti imposti dalle regole. È interessante riflettere sull’atteggiamento dei partecipanti: abbiamo testimonianze di un secolo fa in cui dei giovani, fingendo di dare dei soprannomi alle dame mascherate per individuarle, le indicavano fra loro con nomi di intesa, che in realtà rivelavano la ragione della preferenza che, a viso nascosto, motivava la scelta. Così si legge di dame contese tra cavalieri col nome di Ines o Eredes, o lealmente lasciate a chi le chiamava Acima o Roma. Se il lettore vuol conoscere il motivo della preferenza per ciascuna dama deve leggere i loro nomi all’inverso. Un gioco nel gioco, come altri tipici dei balli in maschera, quali il modificare la voce imitandone una diversa o trarre in inganno sulle proprie intenzioni di movimento, mimando gesti ambigui allo scopo di indurre una risposta inappropriata, goffa o buffa, per suscitare il riso in tutti gli astanti.

Importante sottolineare che anche per il ballo in maschera del passato lo scopo principale, tranne eccezioni, era quel piacere lecito di gratificazione detto nella semplicità superficiale di un linguaggio non psicologico “puro divertimento”; una sottolineatura che taglia di netto con ogni tentativo di accostarvi il burlesque dei nostri giorni, i cui scopi non hanno bisogno di essere qui menzionati.

I rapporti sessuali non sono un gioco, anche se la sottocultura di massa che da mezzo secolo si è affermata nel nostro paese li presenta come il “gioco degli adulti”. E anche se la “cultura di stato” in materia è ispirata a quella dei peggiori postriboli: per comprendere cosa intendo basti solo prendere una copia di quei milioni di opuscoli fatti distribuire nelle scuole italiane per la prevenzione dell’AIDS, in cui si illustravano con disegni pornografici l’accoppiamento e tutte le possibili pratiche devianti dal rapporto sessuale fisiologico, per spiegare come evitare l’infezione a dei quindicenni, che lo stato presumeva fossero fra loro[9]  impegnati in quelle attività. In altri termini, invece di dire che i portatori anche inconsapevoli del virus possono trasmettere la malattia con i rapporti sessuali, perché il virus dell’HIV passa attraverso le mucose, in Italia si è usato nelle scuole lo strumento impiegato per l’informazione delle prostitute nei paesi del Terzo Mondo.

L’indottrinamento di massa alle pratiche sessuali selvagge, che ha avuto nella pubblicità televisiva di una madre che dava alla figlia prima di uscire di casa dei profilattici, dicendole che non si può mai sapere, un esempio citato dai sociologi della comunicazione, ha sostituito ai riti di passaggio delle società tribali, cui di fatto si ispirano quelle post-moderne, pratiche sessuali non riproduttive[10]. Coloro che hanno per decenni spinto in questa direzione, indipendentemente dalle ragioni ideologiche o politiche che li hanno mossi, senza esserne consapevoli hanno forzato la psiche di masse di adolescenti verso un uso della sessualità come mezzo di adattamento psicologico alla realtà[11].

Quanto questo sia pericoloso è testimoniato dalle schiere di ragazzi e ragazze che finiscono in psicoterapia con sentimenti di inadeguatezza, frustrazione e fallimento, oppure fanno ricorso ad alcool e sostanze psicotrope per essere all’altezza di quei campioni di orge e baccanali che hanno sostituito i modelli di giovani studiosi, seri, onesti e responsabili, proposti da genitori ed educatori dal tempo dei Greci fino a oltre la metà del Novecento, passando per duemila anni di civiltà cristiana.

Un’altra conseguenza della prevalenza di questo modo di intendere la sessualità è la necessità di abbandonare il paradigma millenario che distingueva tra approccio fra giovani dovuto a un “sentimento serio” e quello dovuto a una “mira disonesta”, visto che la mira disonesta dell’accoppiamento sessuale per puro piacere è diventato un esercizio doveroso, a cui i ragazzi devono essere formati come lo sono alla conoscenza delle lettere e delle scienze.

La dicotomia tra “sentimento serio” e “mira disonesta” non era altro che un corollario della distinzione tra amore oblativo, che tende al dono di sé affinché il donarsi reciproco porti figli per il Regno dei Cieli compiendo il volere di Dio[12], e desiderio fisico e passionale che va contro il volere di Dio (peccato) ed è alimentato dalla egoistica spinta a provare piacere sessuale[13].

Si è eliminato Dio, ma rimane il fatto che si possa amare una persona disinteressatamente, volendo il suo bene, oppure desiderarne tante, di persone, e chiamare amore quell’affetto che accompagna l’eccitazione, il desiderio, il piacere, i giochi di piacere e le gratificazioni connesse. Certo, nulla vieta che possano coesistere in alcune persone capacità di amore oblativo e desiderio compulsivo, ma questa non è una buona ragione per confondere due atteggiamenti mentali radicalmente differenti.

Il paradosso è chiamare amore la “mira disonesta” e poi meravigliarsi per il suo sistematico esito in separazione. Due persone che si accoppiano perché si trovano attraenti e seducenti, e da questo darsi piacere reciproco per consuetudine sviluppano affetto e attaccamento, spesso rimangono sorprese dal tradimento, perché hanno creduto che la condivisione del fine di piacere potesse trasformare in amore oblativo, per definizione responsabile e dunque fedele, la convenienza sessuale reciproca di persone immature, o che si comportano come tali per seguire la priorità erotica.

“La persone si edificano” dice il nostro presidente, e aggiunge: “Se non si costruiscono da sé stesse con cura, pazienza e dedizione, saranno costruite a loro insaputa dalle mode correnti che daranno loro la forma più adatta al contenitore sociale in cui vivono”[14].

L’inconsistenza della concezione dominante nella doxa contemporanea si evidenzia facilmente se si ritorna alla sua origine ideologica documentata nella cultura popolare di romanzi e film di mezzo secolo fa, in cui l’infedeltà coniugale non era più il tradimento di un patto ma un fatto normale, comune e frequente, che doveva essere accettato e compreso, pena il biasimo per essersi macchiati della “colpa” di essere antiquati o, peggio ancora, di essere gelosi. In quella concezione, ispirata da tesi ideologiche, il legame che ha costituito il fondamento antropologico dei rapporti elementari di parentela, definendo prototipi su cui si è modellata la psicologia umana dalla notte dei tempi, era considerato alla stregua di una banale scelta di costume, da adottare per adesione alla moda corrente.

In quei film, e per qualche decennio in un gran numero di contesti sociali, i protagonisti e le persone reali facevano di tutto per non mostrarsi gelose: la colpa di cui vergognarsi non era più il tradimento ma la reazione negativa del coniuge, in ogni caso ricondotta al nuovo peccato sociale: la gelosia, che rivelava ignoranza, rozzezza e meschinità. Il marito tradito, per mostrarsi “moderno” e degno di stima sociale, si attribuiva sempre la colpa del tradimento della moglie e dichiarava di voler capire. Ma la gelosia, che in senso proprio è l’invidia dell’amore, non è un atteggiamento derivato da una mentalità, ma un sentimento, per definizione transculturale e legato alla qualità identificativa del legame affettivo[15]. In realtà, anche nelle discussioni e nei dibattiti che si tengono ancora oggi, si fa spesso confusione tra sentimento di gelosia o, per meglio dire, sofferenza procurata dai sentimenti e dall’agire del partner con altre persone, e comportamenti ritorsivi o addirittura criminali derivati dall’esperienza affettiva negativa. Invece di una condanna senza appello per le manifestazioni di inciviltà, e ancor più per l’agire criminale attribuito dai delinquenti alla gelosia, si pensava bene di negare la realtà di un tipo di sofferenza umana evocata dal comportamento del partner.

L’esergo di Marcel Proust su quanto la sofferenza amorosa consenta di andare oltre le generiche nozioni della psicologia accademica, coglie in modo essenziale la profondità e l’importanza delle esperienze di infelicità nei rapporti affettivi, rendendo imperdonabile trascurarne la conoscenza, così come ignorare che la progressiva dissoluzione dell’edificio simbolico tradizionale dei ruoli strutturati sui rapporti paradigmatici di parentela abbia creato una condizione che favorisce l’inganno, l’abbandono, il capriccio e il tradimento, moltiplicando le occasioni in cui si patisce e si fa patire senza piena conoscenza delle cause reali.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-19 marzo 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Questa osservazione, e tutta la concezione qui esposta, sono da attribuire al nostro presidente, ma costituiscono cultura comune della nostra società scientifica attraverso il seminario permanente sull’Arte del Vivere.

[2] Note e Notizie 05-03-22 Disagio psicologico da una causa misconosciuta. Da qui in avanti sarà citato in abbreviato: Disagio psicologico.

[3] Giuseppe Perrella, Seminario Permanente sull’Arte del Vivere, trascrizione di una relazione del 5 maggio 2006.

[4] Solo questo livello di coscienza o maturità consente reale efficacia nella conoscenza psichica dell’altro.

[5] La prevalenza quasi esclusiva di questo secondo comportamento non può meravigliare coloro che, anche solo televisivamente attraverso le interviste ai giovani nei decenni passati, hanno sentito di vere e proprie migrazioni di massa del sabato sera verso le discoteche più ambite per andare “a cuccare”, dicevano ai microfoni dei telegiornali, cioè ad accoppiarsi sessualmente tra sconosciuti non di rado ubriachi e drogati.

[6] Il personaggio canta così: “È Sigismondo il più elegante e il più giocondo di quanti al mondo fanno il nobile mestier di seduttori, rubacuori e gabbamondo e alle fanciulle turba i sogni ed i pensier”.

[7] Note e Notizie 05-03-22 Disagio psicologico da una causa misconosciuta.

[8] Si vedano i saggi del presidente: Note e Notizie 20-06-20 Il desiderio e la mente; Note e Notizie 04-07-20 Il desiderio tra sogno e responsabilità.

[9] Non è banale specificarlo, perché quegli stessi atti compiuti con un maggiorenne (ad esempio: un ripetente dell’ultimo anno) costituiscono per questi un reato gravissimo.

[10] Colpiva l’idea portata in programmi televisivi e poi in parlamento quando, dopo aver deciso di sostituire l’ora di religione con quella di educazione sessuale, delle madri si scagliarono contro professori che osavano voler dare un taglio igienistico o scientifico all’educazione sessuale, che loro pretendevano fosse una guida erotica per fare esperienza per la vita. Come se la vita di tutte le ragazze (e dei ragazzi, pur non menzionati) avesse come priorità assoluta il coito con il maggior numero di partner possibile e la scelta del migliore in base alla capacità di farle godere.

[11] Questo modo di intendere la sessualità nei rapporti sociali è stato analizzato dal nostro presidente, che ha individuato con semplice chiarezza la sua origine psicologica in un quadro mentale influenzato dallo stato psicofisico di attivazione erotica. Io osservo in proposito: un tale stato della mente, al pari di quelli influenzati da processi emotivi quali rabbia, paura, euforia, innamoramento, disperazione o esaltazione, non garantisce affidabilità né pedagogica né legislativa.

[12] In Dante Alighieri troviamo un esempio paradigmatico di amore cristiano nel suo sentimento per Beatrice che, pur essendo un affetto provato per una creatura, per la sua natura avvicina a Dio.

[13] Anche qui rimando ai due saggi del presidente per la differenza tra desiderio fisiologico e compulsione.

[14] Comunicazione personale a margine di un incontro seminariale del maggio 2018.

[15] Come è noto, la psicoanalisi riconduce la gelosia tra coniugi all’impossibilità di identificarsi col desiderio dell’altro. Celebre un seminario di Jacques Lacan (su La bella macellaia) in cui, riprendendo un caso riferito da Sigmund Freud, si dimostra come l’intensità insopportabile del sentimento di gelosia della moglie di un macellaio derivasse dalla sua inconscia identificazione con l’amato marito e dal ritrovare nel luogo inconscio dell’identità condivisa il desiderio per un’altra donna, cosa per lei “contro natura”.